La sostenibile leggerezza dell'arrampicare - Chapter 2 - Conoscerete la nostra velocità - Seconda parte

CHAPTER 2.6

Chapter 2.1 inverted

Rilettura del Chapter 2.1 al contrario, partendo dalla grande cengia alberata dove ha svernato la famiglia Camalot & c. e salendo il muro terminale.

Primo tiro: 25 metri scalabili con ancora un po’ di lavoro di preparazione e pulizia che al momento rimandiamo. Per ora lo si può scalare velocemente aiutati da cordini veramente lunghi lasciati tra un chiodo e l’altro.

Secondo tiro: diedro fessurato all’inizio seguito da una bella placca verticale e lavorata che porta ad un comodo terrazzo.

Terzo tiro: si attraversa una stretta cengia erbosa verso sinistra e si prosegue su una ripida placca in aderenza per raggiungere l’inizio di un diedro fessurato.

Quarto e ultimo tiro: 40 metri seguendo una fessura lama fino a prendere la radice di un pino che significa che siete arrivati alla fine.
Tutti e quattro i tiri attrezzati dall’alto… sig!

Giulio completa l’arredamento della via con un giubileo di bandiere di preghiera tibetane sulla sosta finale. Le bandiere sono quelle che hanno sventolato per anni alla base della falesia di Cornalba, lui giura che non le ha rubate, dovevano essere sostituite perché usurate dal vento. Giulio tiene molto ai suoi riferimenti e questo con la sua roccia d’origine mi commuove.

CHAPTER 2.7

Bonifica e Sistemazione finale

Sabato, 12 Agosto 2017. San Martino. Ore 06.30 A.M. Saliamo in val di Zocca per la terza e speriamo ultima volta. Il programma della giornata prevede 9 punti:

1 Raggiungere la sommità
2 Calarsi
3 Recuperare tutto il materiale e le corde fisse
4 Sistemare i run-out erbosi con spezzoni facilitatori e le soste per doppia
5 Portare tutto alla base della via
6 Nascondere nel grottone gran parte dei 600 metri di corda per un successivo recupero
7 Mettere attrezzatura, materiale da bivacco e qualche corda nei sacchi
8 Caricare i sacchi in spalla
9 Cercare di arrivare al Gatto Rosso, vivi

La sequenza delle 9 fasi descritte deve essere meticolosamente rispettata altrimenti si rischia di incasinare tutto.
Programma letto e approvato da tutti i membri della cordata.

Con una azione continua, risolutoria, spuntati nell’ordine programmato i primi 5 punti, alle ore 20.30 atterriamo alla base pronti per affrontare la discesa sul sentiero e chiudere definitivamente i giochi ma a quel punto, tra la fase 5.Portare tutto alla base della via e la 6.Nascondere nel grottone gran parte dei 600 metri di corda, qualcosa va storto.

Mentre stiamo bruciandoci i deltoidi facendo su (gergo degli scalatori) il mezzo chilometro e passa di corde, rivolgo a Giulio una di quelle frasi interrogative idiote che solo le situazioni di carenza ossigenatoria consentono di espellere.
Scientificamente si definiscono Stati di idiozianarobicheroica.

La domanda che pongo è questa: visto che abbiamo fatto 30 perché non facciamo 31 e portiamo tutto a casa così non dobbiamo più ritornare? Be’, quale potrà mai essere il risultato in caso di silenzio assenso del compagno? Che quello che ci carichiamo in spalla è da dementi. Un estraneo potrebbe definirla autodeterminazione, meglio sarebbe autosterminazione.

L’ultimo giorno di ogni eroica impresa è sempre stato la cosiddetta candelina sulla torta. Fu così con Antonio sulla Pala di Gondo, con Giulio sul Picco Meridionale del Cameraccio ed ora qui in Torrone.
Hai giocato? Ti sei divertito? Hai fatto bei sogni? Sei stato bene e sei soddisfatto? Siamo contenti per te, è giusto così. Bene! Ora paga.

Nel vecchio e glorioso Cassin da 70 litri entrano: 2 statiche da 9mm da 100 metri ciascuna, un cordino statico da 8mm da 70m, due mezze nuove da 60m e una mezza fatta a pezzetti. Oltre lo zaino che aveva in salita, vestiario e un po’ di attrezzatura varia. Ben oltre 30 chili comodi comodi in un sacco di tela da camion che ti stritola i trapezi e cuoce la schiena. Giulio s’è affezionato e lo vuole a tutti i costi, non voglio contrastarlo, per carità! urla come un sollevatore di pesi per metterselo in spalla e inizia a scendere.
Io devo ancora finire di cercare una soluzione per il mio zaino da 55 litri + 15 di estensione estesa al massimo e fuori mi restano: una corda d’arrampicata verde da 10mm lunga 80 metri ed un’altra corda statica da 10,5mm di diametro per 100 metri di lunghezza.

Quest’ultima statica, tra Gondo, Cameraccio e Torrone ha visto passare le stagioni di sette anni in parete e la sua anima di corda, capendo che potrebbe essere l’ultima volta che viene affettuosamente riposta in uno zaino, si ribella e reagisce, si irrigidisce e il risultato è che la matassa diventa gigantesca e pesante.

Alla fine sono pronto. Mi metto il sacco in spalla sperando non si strappino gli spallacci, lego insieme le due corde e le metto a tracolla tra lo zaino e il mio collo. Una roba disumana.
Infilo i guanti, prendo i bastoncini e mi basta un passo per realizzare che se dovessi scivolare o inciampare e tentassi di opporre resistenza, i crociati, collaterali, menischi e cartilagini salterebbero in aria e morirei soffocato dal peso dello zaino. L’eroico idiota.

Nel frattempo Giulio non vedendomi arrivare, mollato lo zaino a terra, torna indietro e candidamente mi chiede: bisogno? Ma che sense of humor!
Lo guardo e in risposta lancio le corde nel bosco. Non se ne parla neanche che riesca a portare a valle tutta questa roba. Appendiamo statica, verdone e due spezzoni ad un albero e riprendiamo a scendere. Da quando lo conosco è la prima volta che vedo Giulio soffrire veramente. Fermate continue per scaricare le spalle. Quando ci fermiamo dobbiamo cercare un sasso su cui appoggiare lo zaino e ci riposiamo appesi agli spallacci.

Una volta ho tolto il mio e senza Giulio non sarei più riuscito a rimettermelo in spalla.
Usciamo dal bosco che sono le 21.30 e riusciamo ancora a camminare senza la luce delle pile frontali, superiamo le baite di Rasica e, non voglio essere volgare, ma porca di quella puttana perché il ponte di tronchi appena dopo il villaggio di Rasica non c’è, è crollato. Ci tocca anche il guado del torrente.

Con gli zaini che ci ritroviamo è ridicolo anche solo pensare di riuscire a camminare sui sassi affioranti per cui entriamo in acqua e attraversiamo. Accendiamo le pile frontali. L’acqua per fortuna è bassissima, arriva poco sopra la caviglia, ma con il peso che abbiamo sulle spalle una caduta avrebbe come conseguenza quasi certa l’annegamento.

A metà del guado mi scivola di mano uno dei bastoncini che sino a quel momento mi avevano salvato la vita. Non ho bestemmiato perché non l’ho mai fatto, anzi, per la verità una volta in tutta la mia vita l’ho fatto ma cavoli mi è proprio stata tirata fuori.
Stavo scendendo in corda doppia in diagonale, sotto uno strapiombo, con uno zaino pesante e due corde appese al discensore, a testa in giù mentre cercavo di raggiungere un groviglio infame di corde dentro un groviglio infame di rami e non c’è l’ho proprio fatta, mi è uscita.
Tutto questo era successo solo 6 ore prima ma chinarmi per raccogliere il bastoncino mi costa un ginocchio sinistro dolorante per un mese e una sequenza interminabile di imprecazioni a bassa voce.

Nonostante la sofferenza Giulio ha il telefono in mano e cerca rete per chattare con so chi ma che per privacy non si può dire. Non c’è rete, cazzo aspetta che se inciampi ti fai male e fai anche la figura del pirla.
Sono le 10.30 P.M. quando mi sdraio distrutto all’interno del gabbiotto al parcheggio dove ferma il bus navetta per la val di Mello da San Martino. Il servizio è attivo fino alle 18 quindi Giulio prosegue da solo per recuperare l’auto e tornare a prendermi e così finalmente ha rete e chatta.
Sdraiato sugli zaini in quel momento mi accorgo del cielo. La notte è spaziale, la stellata stellare e le stelle cadenti sono bellissime, commoventi e lasciano scie lunghissime. Due giorni prima era San Lorenza, il giorno prima Santa Chiara, le mie ragazze, un senso questo l’avrà, o no?
(Questo finale l’ho scritto sotto tortura).

CHAPTER 2.8

Il nome

Come nelle altre occasioni che ho avuto di aprire una via nuova la ricerca del nome da darle risulta impegnativa. Per entrambi è un aspetto molto importante della vicenda perchè chiude un cerchio dove dentro vorremmo metterci il lungo vissuto comune. Non può essere una vaccata.

Dove andiamo a pescare? Il gioco consiste nell’andare a spulciare titoli o citazioni da film e libri, che eventualmente modificati ed epurati dal loro contesto rivivono calati nella nuova esperienza.
Oppure lavorare di fantasia, anche se è difficile essere originali, o giocare con il nome della parete o della montagna, cosa che è molto divertente.

Gli unici divieti assoluti, categorici, per noi non negoziabili in quanto maschi per ora ancora eterosessuali, sono: nomi di donne (fidanzate, amanti, mogli, figlie/i, mamme e nonne) e allusioni sessuali poco o tanto esplicite.

La cosa migliore potrebbe essere quella di dare l’incarico ad una società di Comunicazione e Pubblicità per trovare la soluzione ma il budget lo esclude.
Come dicevo, giocare con il nome della parete o della montagna su cui si è scalato può facilitare l’operazione.
Qui c’è un problemino: Muro del Torrone.
Ragionando un attimo trovo però che giocare con il nome Torrone, ampliandolo nel significato, potrebbe essere divertente e potremmo riuscire a non cadere nell’allusivo sessuale di cui le nostre pareti, soprattutto falesie, sono strapiene.

Le opzioni che sottopongo a Giulio sono:

1) Gran Torrone (omaggio a Clint Eastwood... Gran Torino)
2) Il martello di Torr (per gli appassionati Marvel)
3) Neurotorrone (per studiosi di neuroscienze)
4) Ragni del Torrone (sul filone epico alpinistico)
5) Fotorronica (metallari e affini)
6) Merenda col torrone (appassionati del soft porno anni ’70)
7) Esticazditorrone (alla romana, adatto per una relazione da inviare alla rivista del CAI)
8) The Torr Remains The Same (Led Zeppelin)
9) ToTorrone (omaggio a Miyazaki)
10) Dihedral Torr (Dihedral wall… Yosemity)
11) El turron (espanol, la seconda lingua di Giulio)
12) Placas la fisuras del Turron (questa è di Giulio)
13) Torr de Titanes (grande endurance)
14) Collisione protorronica (per fisici teorici)

Variazioni extra Torrone:
15) Space truckin’ 2 – Il ritorno (per noi nostalgico)
16) Sacchi da recupero (arrampicata ecosostenibile)
17) Siamo solo noi, solo… eh! (per tutti quelli che ci hanno dato una mano, poetica blaschiana)
18) MiraTorr (genere fantasy)
19) Baba Yaga (non c’entra un ‘azz ma è il brano finale di Quadri di una esposizione di Mussorsky, musica spaziale!!)

Vedete quante se ne possono trovare? poi un giorno a Milano mi ritrovo in Feltrinelli per comprare qualche libro e vedo l’ultimo romanzo di Dave Eggers, Eroi della frontiera, che compero subito.

Potrebbe non essere male come nome della via ma a quel punto mi vengono in mente i titoli degli altri suoi libri che ho letto e li metto insieme

- L’opera struggente di un formidabile genio
- Conoscerete la nostra velocità
- Sono solo ragazzi in cammino
- I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono forse per sempre?
- Eroi della frontiera

L’aiuto di Eggers è formidabile, tranne il quarto I vostri padri… a cui non trovo subito un aggancio, gli altri 4 si prestano benissimo: il primo ci farebbe passare per leggermente megalomani, cosa che anche se rappresenta perfettamente il nostro lavoro su quella parete ovviamente è anni luce dal nostro mood, ma, considerato il sense of humor del maschio scalatore alpinista, direi di no.
Il terzo Sono solo ragazzi in cammino anche questo no, qui di ragazzi ancora non se ne vedono, bambini sì.
Per il quinto Eroi della frontiera valgono le considerazioni fatte per il primo e poi l’eroe in montagna proprio non l’ho mai visto.
Il secondo Conoscerete la nostra velocità…2015 2016 2017, perfetto. Ha quel leggero senso ironico che dipinge perfettamente il nostro feeling the rock. Piace anche a Giulio.
Nome della via trovato.

CONOSCERETE LA NOSTRA VELOCITA’

È un lungo viaggio, un fermo immagine di tre anni del nostro tempo sul Muro Inferiore del Torrone che ci ha portato attraverso quei luoghi che solo la Val di Mello è in grado di regalare.
14 lunghezze di corda, mi sbilancio nell’affermare tutte belle, che in quattro sezioni ognuna con stili di arrampicata diversi si sono snodate tra ambienti particolari che danno la sensazione di stare scalando non in parete ma dentro una parete, in un mondo di mezzo dove la vista spazia a 270 gradi dalla Val di Mello fino alle vette dell’alta Val Torrone.

In due, quindi con tantissimo tempo per stare soli in compagnia della propria attrezzatura, che non parla, si instaura un strano rapporto con se stessi che diventa anch’esso un’avventura nell’avventura.
Ci ritroviamo a ragionare su tanti argomenti, su di sé, sui rapporti con le persone che conosciamo, su ciò che facciamo, non che arriviamo a risolvere i problemi, se ne abbiamo, ma perlomeno il tempo per pensarci non ci manca.

Un’avventura lo sono state anche le curiose e a volte impegnative convivenze con una vegetazione esuberante che hanno reso l’esperienza oltre l’immaginario, a volte accogliente, rassicurante e a volte in grado di trasmutarci in esseri arrampicanti primordiali.
Gli scalatori sanno bene che l’ambiente fa tanto, condiziona in modo potente e la parete è un forte agente disibinitore.
I problemi che ci si trova ad affrontare quando si scala sono estremamente basici, non cadere, cercare di salire, tenere un appiglio, fare un nodo, disfarlo, bere, mangiare e annessi, di conseguenza anche il nostro sistema di comunicazione tende ad adeguarsi a quello stato primordiale che è la vita in parete.

Ovviamente ci proviamo a cercare di tenere un linguaggio consono al nostro status di umani occidentali evoluti ed abbastanza acculturati ma al verificarsi di certe situazioni non si ha tempo di pensare prima di parlare!

Quando per uscire da un passaggio strapiombante vi attaccate agli arbusti che sporgono dalla cengia sopra di voi e poco dopo vi ritrovate completamente intrappolati in un rododendro gigante dove ogni attrezzo che avete appeso all’imbragatura si impiglia, le corde si attorcigliano sulle gambe ed attorno alle radici, le foglioline vi finiscono negli occhi e nel collo, con una mano distruggete una ragnatela con un ragno grosso grosso che giustamente si incazza perché era da 20 anni che aveva lì il suo domicilio e fino a quel momento nessuno gli aveva rotto le palle, bè, questa è sicuramente una di quelle certe situazioni dove il vostro linguaggio si trasforma ed esplode in una esilarante, continua e sgrammaticata sequenza di improperi ed insulti di notevole varietà e fantasia. E non ci sono spettatori.

A volte, sinceramente, basta molto meno per generare esternazioni simili.

In quei frangenti riusciamo, finalmente, a scrollarci di dosso quelle rigide ed odiose convenzioni grammaticali e di buona educazione che ci ingabbiano nella vita civile e quelli sono momenti liberatori, taumaturgici. Si arriva all’essenza di se stessi in quanto scalatori.

Fortunatamente questa è una mutazione reversibile al 100%, quasi. Appena si ritorna in un ambiente orizzontale ad una dimensione ci si resetta e si torna ad essere quei signori che siamo sempre stati. Ovvio. Anche perché ci si dimentica tutto.

Tutto tranne lo spartiacque dove termina Conoscerete La Nostra Velocità. Un luogo dove si riesce a perdere la consistenza fisica di essere umani per diventare parti in equilibrio di un elemento naturale e si può arrivare a percepire una sensazione simile a quella che si prova quando ci immergiamo nell’acqua che ha la stessa temperatura dell’aria e del nostro corpo e non sentiamo alcuna reazione sulla pelle, come se fosse tutto un unico elemento. Lì, tutto è perfetto.

CHAPTER 2.9

C’è ancora la Valle?

Ho provato a fare un calcolo di quante volte ho percorso la val di Mello avanti e indietro dall’inizio alla fine da quando ho iniziato a frequentarla, e non vi dico l’anno, ad oggi.
Chiacchierando con Giulio durante una delle tante volte che l’abbiamo percorsa insieme gli dicevo che avrei potuto scrivere un libro on the valley.
Escludendo la Val Cameraccio, dal Gatto Rosso al ponte sul Torrone ho superato abbondantemente i duecento percorsi, visto cose che voi umani…riconosco i sassi, anticipo il mutare degli ambienti, vado talmente a memoria che mi estraneo dal sentiero e riesco ancora a perderlo.

Se calcolo in circa 6 chilometri il percorso completo di andata e ritorno, il totale fa 1200 chilometri. Il titolo del libro potrebbe essere “1200 chilometri sugli stessi sassi”. Memorie di tendini e legamenti consumati.
Potrei poi organizzare delle letture nei luoghi caratteristici della valle, mettere su un gruppo facebook, lo so che son vecchio, e portare gruppi di pensionati a fare passeggiate a piedi nudi per raccogliere sensazioni tattili da raccontare a fine giornata in una seduta di sassoterapia e genepy di gruppo al centro polifunzionale della Montagna.

Riuscirei magari a promuovere la bellezza della Val di Mello con una visione olistica e proverei così a contrastare l’altro tipo di promozione, quella cantieristica, ossia quella lenta ma costante antropizzazione fuori controllo della valle.

Mi domando e dico, porca paletta, ma non c’è nessuno che va a guardare cosa stanno facendo gli esemplari proprietari dei terreni della valle? Provate a farci un giro a novembre o dicembre quando, finita la stagione turistica, senza ancora la neve, esplode la stagione cantieristica.
Ognuno tira su la propria casetta più o meno dove vuole, basta che su un foglio mappale del 1700 recuperato chissà dove e chissà come, proprio lì sulla sua proprietà, risulti un perimetro di pietre di due metri per due; e il muretto di confine dei miei 6 metri quadri di praticello davanti alla porta volete farvelo mancare? Per carità, tutto regolarmente richiesto e concesso.

Nel giro di 2 anni, poco dopo il bivio per il rifugio Allievi-Bonacossa, da un rudere che neanche si vedeva dal sentiero è spuntato l’agriturismo “El Camer”, prezzi modici.
Andate a vedere la superficie che hanno coperto? E’ vero, la legge della domanda/offerta regola tutto e nell’arco di 1 chilometro e mezzo ci sono 6 tra agriturismi e pseudo rifugi; peccato che siamo in val di Mello e non in Corso Como.

Anche mia la responsabilità, ovvio, facile parlare ma senza far nulla son buoni tutti!
Poi potete dire “ma da che pulpito viene la predica?” anche questo ci sta: tra Cameraccio e Torrone ho violentato la natura lasciando qualche chilo di ferro infisso nella roccia, ho sradicato un po’ di zolle e segato qualche ramo e cespuglio che ha avuto la sfortuna di trovarsi sul percorso ed ho anche fatto rumore con il trapano.
Certo non ho seguito l’etica del clean climbing, non sono ad impatto totalmente zero ma ho la presunzione di essere un po’, solo poco, più ambiente-compatibile dei proprietari dei terreni della valle.
Qualcuno si ricorda cos’era Cascina Piana, senza andare nella preistoria, nei primi ’80. Beh, era un decimo di quella che è oggi. Com’era verde la mia valle! Certo, sono tornate un po’ di mucche, qualche pecora, qualcuno fa e vende formaggi, è tutto positivo però penso che lo sviluppo compatibile sia un’altra cosa.

Al ritorno dalle nostre scorribande ormai preferiamo fermarci al tex-mex “El Paso” nella zona industriale di Morbegno, Harley, stivali da cow-boy e bottiglie di tequila vuote sui tavoli, cactus gonfiabili appesi a soffitto, Wi-Fi “elpaso”, buon hamburger, divertente e tutto sommato armonico con l’ambiente circostante.

In un altro paese la Val di Mello verrebbe gestita come un gioiello. Noi la svacchiamo e basta. E sulla Val di Mello mi pare ci siano tre livelli di protezione ambientale!

CHAPTER 2.10

Non è Finita!!

Un po’ di tempo per riabilitare la mente, riassettare l’attrezzatura e il gioco potrà ricominciare. Sicuramente l’età mi impone di ridurre gli intervalli temporali che hanno contraddistinto le mie scalate.

Sul tavolo mi ritrovo un paio di pratiche in arretrato da troppi anni e che a questo punto bisogna sistemare. Riguardano Gondo e La Sentinella. Con Antonio è da tempo che pensiamo di ripristinare il tracciato originale di “Rompighiaccio” e di terminare l’uscita di “Formalina” inseguendo il vecchio sogno di uscire dalla parete cavalcando l’enorme prua che la sovrasta e rendere la via completamente autonoma dall’uscita di “Rondini sanguinarie”.
Vedremo 25 anni dopo cosa riusciremo a fare.

Nel frattempo Giulio oltre a lavorare e chattare finalmente tornerà a fare lo scalatore serio e magari tra un po' il gioco ricomincerà.
Sicuramente ricomincerà perché questa volta il sasso è già stato lanciato da Giulio non so se nel pieno della sua consapevolezza, forse gli è sfuggito di mano, e ovviamente è stato raccolto immediatamente.

Questa volta, cioè la prossima, faremo però tutto al contrario e proveremo a costruire una Storia e una Scalata sul nome che abbiamo già dato alla Via e che dovrà ispirarci.
Lavoreremo ancora con la roccia, di che composizione e dove lo scopriremo. Sarà roccia perché è la materia che conosciamo meglio ma soprattutto perché è quella dove il contatto fisico è più profondo.
Quando scali, le sensazioni che la roccia ti manda non sono filtrate, passano direttamente dalle terminazioni nervose che abbiamo sulla pelle delle mani, del corpo al cervello. E’come la vibrazione che senti dentro in corpo quando vieni travolto da onde sonore. E’ un rapporto fisico intenso, esplosivo.

Quindi

CERTAMENTE,
in un futuro prossimo
su una qualche parete
scaleremo
NO CHURCH IN THE WILD
Good Vibration, yeah!!

Simpaticamente da Andrea e Giulio…l’occhio è già attivo…


O no! Grave dimenticanza, i sentiti ringraziamenti:
1) Io e Giulio ci ringraziamo a vicenda per la collaborazione, punto!;
2) Entrambi ringraziamo in ordine di contributo: Roberto G., amico di Giulio e esimio Istruttore d’Alpinismo della Scuola Paternò di Cinisello e Paolo F., esimio INAL della gloriosa Parravicini, istruttore FASI e amico di entrambi;
3) Ci ringraziamo pariteticamente a vicenda per il contributo economico assolutamente rilevante che ci siamo erogati;
4) Per quanto mi riguarda ringrazio le mie ragazze per il tempo che si sono lasciate sottrarre;
5) Per quanto riguarda Giulio, non lo so, chiedetelo a lui.

Ripeto: Good Vibration, Yeah!

CHAPTER 2.11

Note tecniche

A questo punto se avete ancora pazienza e l’argomento vi interessa potete proseguire con la lettura delle note tecniche relative alla scalata che ho pensato di inserire nel racconto in quanto la relazione della via ad oggi non è ancora stata divulgata su alcun canale “istituzionale”.
La raccomandazione è comunque di prenderla con le pinze per quanto riguarda le difficoltà proposte in quanto non tutti i tratti sono stati ripercorsi dal basso in modo da poter dare una valutazione più corretta. Chi avesse voglia di farlo ripetendo la via avrà la nostra riconoscenza per sempre. A parte i gradi tutto il resto è preciso preciso.

L’avvicinamento

Ci troviamo nelle Alpi Retiche centrali, in Val Masino, al confine tra laVal di Mello e la Val Torrone.
Dal Gatto Rosso: seguire il sentiero della Val di Mello fino al ponte sul torrente Torrone, per intenderci: andare alle Placche dell’Oasi. 50 minuti. Poco prima del ponte svoltare a sinistra e prendere il sentiero per la Val Torrone fin quando esce dal bosco e arriva ad una strettoia con grottone e sentiero intagliato nella roccia con catena corrimano. Dal ponte 200 metri di dislivello, 20 minuti circa.
Siamo all’attacco della via. Conviene fermarsi e prepararsi sui gradini all’inizio della catena e lasciare lì zaini e ciò che non serve. Le doppie finiranno proprio lì. Precisione assoluta. C’è anche acqua ma più in alto d’estate girano capre e cavalli. Da bere forse no.
Una volta imbragati risalire il tratto di sentiero con la catena (20 metri) e sbucare proprio sopra il grottone. Dall’albero dove il sentiero curva predisporre una sicura. Scavalcare una parapetto fatto di tronchi, traversare su erba ripida leggermente in discesa fin contro la parete, scendere facilmente ad un albero e da questo proseguire la discesa 6/7 metri fino ad una maniglia di radice e poi risalire su terra fino ad un grande pino su cui è rimasto un cordino ben visibile dal basso. Tutto il percorso è lungo non più di 25 metri. Spesso è umido e c’è da fare attenzione soprattutto nei primi metri perchè ci si muove su zolle erbose sopra il bordo del grottone.

La scalata

1° tiro.
Dal pino, diritti su placca verticale con bordo fessura a destra, 6m 3 fix, poi spostarsi a destra ed entrare nel diedro. Ancora qualche metro superando un paio di zolloni d’erba(2ch) e poi sempre nel diedro fino ad un gradino ( 2 fix +friend) → S1 - 2 fix -20 metri, 6a/b, A0

2° Tiro.
Seguire tutto il diedro fino dove forma alcuni gradini erbosi (25 metri) , raggiungere una grande fessura orizzontale sulla faccia sinistra, rimontarla, seguirla verso sin., superare una sosta per doppia (volendo si può sostare anche qui, sosta comoda 2 fix con maglia rapida) aggirare lo spigolo scendendo su una cengia erbosa che si segue 4/5 metri fino ad una comoda sosta con albero. Difficoltà max 6b, delicato a metà quando la fessura diventa sottile. Ci sono 6 fix+ 1ch+cordino rimasti, camalots da 0,5 a 1,5. In caso di pioggia nei giorni precedenti la fessura resta bagnata all’inizio, si riesce comunque ad azzerare con protezioni veloci. → S2 - 2 fix - 40 metri

3° tiro.
Sopra la sosta per 7/8 metri su rampa erbose fin contro la parete, traversare a sinistra 4/5 metri fino a doppiare un bordo che immette in un diedro aperto. Si scala principalmente sulla faccia di destra fino a prendere una fessura diagonale verso sinistra sotto un piccolo tetto (15 metri, 6b+, 3fix +2ch). Con la fessura spostarsi a sin (4 metri, 5c, camalot 1 e 1,5,) ad un fix all’inizio di una placca che si attraversa a sinistra in aderenza 4/5 metri e poi altri 4/5 metri diritti fino a piccolo gradino sotto il grande tetto. 6b e 1pA (5 fix). Sosta non molto comoda. → S3 - 2 fix - 30 metri

4° tiro.
2 metri sopra la sosta si raggiunge la fessura di fondo del tetto. Seguirlo verso destra con arrampicata che segue in parte la fessura e in parte la placca sottostante fino ad una grossa lama sul bordo superiore del tetto (20 metri, 3ch + 3 fix, 1pA iniziale poi max 6b+). Rimontare la lama
che consente di superare il tetto e poi 5/6 metri diagonali verso sinistra su placca un po’ erbosa all’inizio fino ad una sosta su accenni di gradini (4 fix, 2pA e 6a) → S4 - 3 fix – 30 metri, attrezzata per calata. E’ la sosta più scomoda della via.

5° tiro.
Siamo all’inizio della grande placca appoggiata a metà parete. Dalla sosta partire verso destra e con andamento molto zizagante collegare i fix presenti seguendo venature e depressioni fino ad una sosta che sfrutta una doppia venatura. 30 metri, 8 fix, dal 5b al 6a. Arrampicata in aderenza. → S5 - 2 fix - 30 metri, la sosta è spostata di oltre 10 metri rispetto alla S4

6° tiro.
Dalla sosta diritti poi decisamente a destra arrivando quasi al bordo boscoso, poco prima con un passo impegnativo prendere e rimontare una bella vena che riporta facilmente verso sinistra ad un corto muretto sopra il quale sosta su bella venatura. Arrampicata in aderenza. Da 5b a 6b+. → S6 - 2 fix - 30 metri - sosta attrezzata per calata.

7° tiro.
Dalla sosta in diagonale verso destra su placca che in 10 metri porta nel bosco verticale che delimita la placconata. Prendere il cordone rosso e seguirlo (12 metri circa) verso destra e poi diritto in tunnel alberato fino ad una lunga cengia con pino contorto (a cui è legato il cordone rosso) sotto uno strapiombetto fessurato. Si può sostare al pino o alla sosta che c’è subito dietro.
→ S7 - albero o 2 fix, sosta per calata

8° tiro.
E’ un tiro molto particolare e inusuale. Salire sul pino per 6 metri circa, rinviando cordini sui rami, fino a che si sbuca sopra lo strapiombo che immette su una bella placca. Rinviare il fix sulla placca, saltarci sopra e poi seguire una facile depressione verso destra 10 metri e poi a sinistra
e diritto per 5 metri fino a placca fessurata. Dal 5a al 6a+ (5 fix). Per l’esile fessura in tre metri (5b 1 ch) si agguanta il capo di altro cordone rosso che aiuta a rimontare la grande cengia sotto il tetto completamente ricoperta da un tappeto di pino mugo. Raggiungere la sosta ove è ancorata la fissa. (Sosta attrezzata per calata), traversare galleggiando sui mughi a destra fino ad una piccola grotta con sosta alla base di un grande diedro. → S8 - 25 metri - 2 fix

9° tiro.
Diritti nel diedro inizialmente sfruttando grande lama poi la fessura di fondo fino contro uno strapiombo che chiude il diedro, 25 metri, dal 6a al 6c, fix + ch. Traversare 10 metri a destra e sostare su comodo gradinetto. 2 fix, 5a.→ S9 - 35 metri 2 fix

10° tiro.
Dalla sosta salire vs sinistra con fessure 5/6 metri (5b, camalot 0,5 e 1), rimontare sempre vs sinistra su placca in aderenza (2fix, 6a), dal secondo fix traversare la placca decisamente in discesa sempre verso sinistra fino a doppiare un bordo che riporta nel grande diedro. Sotto qualche metro si vede una sosta per calata da non raggiungere. Salire seguendo il bordo e poi con un passo orizzontale vs sinistra riprendere la fessura di fondo qui molto sottile. 5fix + 2ch. 6a e 6c(A0). Gli ultimi due fix sono molto vicini ed è possibile sostare. Scomodo. Proseguire nel diedro per 10 metri
circa in parte sulla faccia destra (2 fix, 5b) fino a buon gradino. Rinviare allungando molto o usare le mezze alternate. In pratica ci sono due angoli retti lungo il tiro. → S10 – 30 metri - 2 fix

11° tiro.
Seguire tutto il diedro con la fessura di fondo e sulla faccia di destra fino alla fine e sbucare sulla grande cengia alberata. Dall’ultimo fix fino ad un grande caos di alberi è stata lasciata una fissa che aiuta l’uscita sul prato. 25metri, 6a/6b, fix e chiodi. Per sostare, si può seguire la fissa e sostare all’albero dove è ancorata oppure, appena usciti sul prato, a sinistra, c’è un albero vicino al bordo del diedro con cordoni e maglia rapida (sosta per calata) → S1 - 25 metri - alberi (sosta per calata). Dall’albero dove è ancorata lo spezzone, scendere verso sinistra sul prato infestato da ortiche e appena sotto un risalto di roccia procedere in orizzontale nel bosco fino ad un sasso piatto vicino alla parete (fessurone nero). Sono circa 50 metri.

12° tiro.
A destra del fessurone nero c’è una placca verticale con vago diedrino erboso. Salire questa placca, prima diritti poi in diagonale a sinistra per 15 metri circa fino ad un alberello. Da questo traversare decisamente a sinistra 4/5 metri e poi diritti all’inizio di un diedro inclinato verso destra dove si sosta. Su tutto il tiro fare attenzione alla roccia, non è pericolosa ma per arrampicarlo serve ancora un po’ di lavoro di pulizia. Tiro di 25 metri con 9 fix, qualche passo in arrampicata, restante in A0 sui fix dove sono stati lasciati cordoni blu per azzerare. → S12 - 25 metri - 2 fix

13° tiro.
Salire la faccia destra del diedro, poi per lame e fessure (10 metri, 5a/5b - 2 fix + camalot) fino a che si riesce con volteggio a saltare sulla placca a sinistra del diedro. Diritti in placca verticale fino a comoda cengia erbosa dove si sosta su bel gradone sotto grande strapiombo. 10 metri 6b - 4 fix. → S13 - 25 metri 2 fix- Attrezzata per calata

14° tiro.
Seguire la cengia erbosa a sinistra fino alla fine, 10 metri circa e poi proseguire in placca, in diagonale verso sinistra fino alla base di un diedro fessurato. 15 metri, 6b, 5 fix. → S14 - 25 metri - 2 fix

15° tiro.
Dalla sosta, usando un alberello, entrare nel diedro e seguire la fessura per 10 metri circa (3 fix, camalot) uscire dal diedro a sinistra per prendere un secondo sistema di lame che porterà fino all’uscita della parete, prima diritti e poi in diagonale verso destra, 25 metri, 6fix + camalot,
dal 5b al 6b con un passo in A0 per superare una grossa zolla erbosa a metà circa. Per uscire, aiutarsi, con ramo e spezzone di corda lasciato tra ultimo fix e albero. Rimontata la cengia, sostare. → S15 - 40 metri - 2fix - sosta per calata addobbata con bandierine di preghiera tibetane.

Da qui, al momento non ci sono opzioni per la discesa. E’ estremamente consigliabile calarsi. Raggiungere la val di Zocca è problematico in quanto, per farlo, poco sopra la sosta, abbiamo sempre risalito 50 metri su una corda fissa stesa su placche e prati ripidi e la corda non c’è più. Non è escluso che si riesca a trovare il modo di risalire ma poi non ci sono più tracce.

DISCESA:
1 doppia: dalla S15 alla S13 – 50 metri
2 doppia: dalla S13 fino al bosco – 35 metri – poi raggiungere la S11
3 doppia: dalla S11 fino ad una sosta non di via che si trova 15 metri sotto la S10, proprio sul bordo del tetto a metà del gran diedro. 35 metri
4 doppia: calata fino alla S8 – 35 metri
5 doppia: spostarsi 7/8 metri sulla cengia con pino mugo e raggiungere sosta per calata. Da questa fino alla S7. La discesa è molto diagonale verso sinistra, faccia alla parete. Durante la calata rinviare almeno un paio di fix, importante quello vicino al bordo della placca, altrimenti si finisce sempre sulla cengia ma molto a destra della sosta e soprattutto fra i rami di un pino intricati come non mai. 20 metri, conviene usare una sola corda.
6 doppia: dalla S7 alla S6 sulla placconata. 20 metri
7 doppia: dalla S6 alla S4. 40 metri. Calata molto in diagonale. Rinviare assolutamente i fix altrimenti il pendolo per agguantare la sosta diventa decisamente impegnativo anche perché vi trovate sul bordo di un tetto.
8 doppia: dalla S4 alla sosta che si trova alla stessa altezza della S2 ma all’interno del diedro. 40 metri
9 doppia: raggiungere il grande pino della partenza. 50 metri
10 ULTIMA doppia: dal grande pino con 20 metri di calata raggiungere il sentiero della Val Torrone e di qui a casa.